La scoperta del Libro autografo di Luigi di Ridolfo Peruzzi (1410-84), figlio di uno dei più eminenti avversari di Cosimo de’ Medici, offre una nuova testimonianza sulla scrittura dell’esilio nella prima età moderna.
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Emerge l’idea di un progetto organico, concepito nel nome di una riconciliazione ideale dell’anziano esule con il centro originario - Firenze - perduto da lunghi anni e ormai irrecuperabile realisticamente. Il ritorno al ‘centro’ è perseguito dunque da un lato, attraverso la preservazione dei caratteri della propria identità civile; dall’altro, attraverso l’ortoprassi e l’osservanza dei riti devozionali codificati dalla comunità di origine. Insomma, Peruzzi ha inteso fare del suo Libro una patente del proprio stato civile, culturale, morale e religioso, da esibire forse, più che ai suoi eredi diretti, a consorti e amici influenti residenti in patria. Alla scrittura del Libro l’esule ha voluto affidare l’ultimo accorato appello per una sua estrema restituzione a Firenze, al quale i Medici, ormai reggenti, si mostrarono sordi fino alla fine.